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Confine: in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Confine nasce dall’impellenza di cercare risposte, di mettere in chiaro i ricordi, dal desiderio profondo di “mantenere viva la memoria”.
Memoria che nella parte iniziale del lavoro sgorga tutta dalla sensibilità femminile, dalla percezione assolutamente privata e intimista delle donne siciliane, da quella speciale modalità tutta isolana, di essere mogli e compagne nella buona e nella cattiva sorte, nel bene e nel male, nella vita e fino, anzi oltre, alla morte.

Man mano che il lavoro procede però, l’aspetto pubblico e politico della tragedia, che era stato volutamente tenuto da parte, prende il sopravvento e si fonde creando un tutto inscindibile, come nella realtà sempre succede, con la dimensione interiore.
Don Masino, cui l’immaginario della razionalità aveva riservato un ruolo di nicchia, per esclusiva forza propria, per una magica quanto incomprensibile operazione dell‘inconscio letterario e umano, diviene elemento centrale, necessario e indispensabile, fino a trasformarsi in una sorta di deus ex machina della ricostruzione e della interpretazione dei fatti.

Don Masino, malgrado e contro la coscienza e la volontà di chi lo dava alla luce letteraria, parola dopo parola, prende a vivere di vita propria e diviene oracolo del passato, si sdoppia in coro di tragedia greca, si offre come messaggero tra due mondi, si immola quale evocatore di morti, in definitiva si trasforma nel Medium attraverso il quale e solo attraverso cui, le due donne ed il pubblico (quando e se ci sarà), potranno rievocare, interpretare, conoscere, esprimere, comprendere e finalmente, forse, darsi pace.

Don Masino diviene così il cuore della narrazione, e attraverso di lui, loro alter ego, Francesca e Agnese possono liberarsi di quelle parole, di quei pensieri, di quelle emozioni, di quei dubbi, che erano rimasti loro in gola, imprigionati e spezzati dalla morte ingenerosa, che se pure annunciata, arrivò all’improvviso e non lasciò neanche il tempo per il rendiconto finale, per un’ultima confidenza, per un autentico e completo commiato.
 
Consapevole del suo ruolo, fin dall’inizio Don Masino ne approfitta per pronunciare anche lui parole che non aveva avuto né il tempo, né l’opportunità di esprimere “per tempo”, e lo fa di certo per riportare la storia ad equità.
E per ringraziare.
 
Ed è così sicuro di essere ascoltato e compreso anche da chi fisicamente non è percettibile, da convincere anche noi che quel che si è spezzato in terra tuttavia resta in vita, aleggiando al confine.
 
A dimostrare che il bene che si dona e che si riceve su questa terra, non è mai sprecato, inutile, vano.
E che è fondamentale, di questo bene, e delle ingiustizie che paradossalmente spesso lo accompagnano, sempre mantener viva la memoria.

Ester Russo, Milano Marzo 2023.

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